Forse paradossalmente, la popolarità internazionale portò un processo di indigenizzazione nel quale la musica popolare giamaicana divenne per alcuni versi più distintamente “giamaicana”. Insieme alla ricerca di una identità nazionale, a seguito dell’acclamazione dell’indipendenza, crebbe nel giamaicano la convinzione di dover tornare alle radici per poter trovare la propria ispirazione.
Sebbene le registrazioni nel periodo di transizione del rocksteady (1966/68) continuarono ad prendere a riferimento principalmente la soul music nord-americana, il ritmo basico col suo caratteristico medium- tempo era già una creazione giamaicana, chissà forse influenzata dal Mento, quell’andamento musicale rurale che gli immigrati portarono nell’isola dalle campagne.
Dal 1968, quando il reggae si era ormai stabilizzato nella scena internazionale, le influenze indigene divennero ancora più presenti, in parte dovuto alla coscienza di classe che convergeva aumentando la decisione culturale.
La “giamaicanità” dello stile reggae trae la sua origine da diverse fonti. Qualcuno ha argomentato che il tempo lento del reggae e la suo caratteristico sincopato venga dal Mento, simile nelle battute suonate dal banjo o dalla chitarra, così come introdotte dagli immigrati negli ultimi anni ’60. Infatti, la celebre canzone del 1967 “Nanny Goat”, il cui riddim è stato riciclato all’infinito, era sicuramente di influenza Mento, come lo erano le altre di quel periodo. Degno di nota fu anche il contributo musicale afro-protestante. Anche gli Wailers , prima di abbracciare la fede rastafariana, registrarono durante il periodo dello Ska molte canzoni di origine spirituale. Con il predominio del reggae di orientamento rasta, quegli elementi della tradizione musicale rastafariana nyabinghi, che derivavano da forme di revival del passato, si trasferirono nella musica popolare urbana. Altra influenza è da cercare nelle locali versioni dei gospel afro-americani, la cui derivazione era fortemente presente nei Maytals.