C’era, da un lato, il Bob Marley che emerse come un simbolo rivoluzionario, un rappresentante del Terzo Mondo che avanzò una critica al capitalismo globale e al dominio imperiale da cui dipendeva. Soprattutto negli anni ’60 e ’70, esisteva una convinzione reale e palpabile che la lotta anticoloniale delle periferie e la lotta militante contro la supremazia bianca avrebbero seppellito lo sfruttamento e l’oppressione.
C’è anche un Marley, che arriva postumo, che è stato sanificato, mercificato e confezionato per la produzione di massa.
Presentato come il ragazzo manifesto del multiculturalismo liberale, il Marley di “One Love” è diventato una colonna sonora coinvolgente, per attività essenzialmente noiose e vuote come fare shopping e sballarsi.
Il reggae, una volta fonte non solo di espressione creativa, ma anche di prospettiva spirituale ed emancipatoria, è stato annacquato come un qualsiasi altro genere di musica e offerto ai consumatori come uno dei tanti oggetti in vendita sugli scaffali di un negozio.